Sara Garcìa libera dopo 9 anni di reclusione per un aborto spontaneo

da Farida Marotta Zare

Dopo aver trascorso quasi 9anni in carcere la ventinovenne Salvadoregna Sara Rogel Gracìa è stata scarcerata lo scorso mese.

La giovane donna era stata condannata ad una pena di trent’anni di reclusione dopo aver subito un aborto spontaneo. Nell Ottobre 2012 Sara Rogel, incinta di otto mesi, perde conoscenza dopo aver battuto violentemente la testa a causa di una caduta accidentale e si risveglia ammanettata ad un letto d’ospedale. Il colpo, purtroppo, si è rivelato fatale per il feto che di lì a poco è nato morto e solo quattro giorni dopo Sara è stata condotta in carcere con l’accusa di omicidio aggravato, sebbene la giovane avesse subito un aborto spontaneo.

El Salvador fa parte dei 26 Paesi che proibiscono l’aborto ed ha le più dure condanne a riguardo,  dai 2 agli 8 anni di reclusione per aborto fino a condanne di 50 anni per omicidio aggravato. Di fatto, nel paese l’interruzione di gravidanza è considerata reato in ogni sua forma anche se necessaria a garantire la salute materna o se il prodotto del concepimento è frutto di stupri o abusi da parte di familiari. In caso di aborto ad essere perseguita legalmente non sono solo le donne gravide ma anche medici ed ostetriche che prestano assistenza alle pazienti che decidono di mettere fine alla gestazione, i quali rischiano la radiazione dall’albo professionale e pene detentive dai 6 ai 12 anni.

 Queste ferree leggi hanno fatto si che nel paese si creasse un clima di tensione in cui anche le morti fetali a causa di emergenze ostetriche e gli aborti spontanei sono visti con sospetto e ciò ha fatto si che da quando la normativa antiabortista è entrata in vigore nel 1998  dozzine di donne, soprattutto le meno abbienti, ricevessero severe condanne e ha causato l’aumento della mortalità materna poiché sempre più donne non hanno altra alternativa che rivolgersi a strutture clandestine per scegliere di interrompere la propria gravidanza mettendo così a repentaglio la loro stessa vita e molti medici ed ostetriche negano l’assistenza a pazienti con condizioni ostetriche avverse per timore di incorrere in ripercussioni legali.

Tra le emergenze ostetriche che possono costare la vita alle donne di El Salvador , c’è la gravidanza ectopica, in cui l’embrione va ad impiantarsi al di fuori della cavità uterina ed il suo accrescimento può causare severe emorragie materne ragion per cui una volta diagnosticata l’embrione va asportato chirurgicamente, le leggi salvadoregne impediscono però ogni intervento abortivo ed per questo che mentre nel resto del mondo la gravidanza ectopica non risulta essere fra le principali cause di morte materne ad El Salvador decine di donne perdono la vita a causa di una gravidanza extrauterina. Inoltre il paese conta un alto tasso di femminicidi e violenze sessuali, principalmente a carico di adolescenti e giovani donne che in caso di gravidanza indesiderata si trovano sole senza alcuna possibilità di scelta e con nessuna assistenza da parte delle Istituzioni locali, basti pensare che nel primo semestre del 2021 oltre 100 bambine di soli dodici anni sono state forzate a diventare madri.

Le politiche antiabortiste contribuiscono ad accentuare il drammatico divario economico dello Stato centro americano, infatti mentre le donne appartenenti a famiglie abbienti hanno la possibilità di pagare cliniche private per effettuare interruzioni di gravidanza clandestine o di raggiungere paesi esteri in cui l’aborto è legale, le donne più povere, in particolare quelle dell’entroterra, sono obbligate dalla legge a portare avanti la gravidanza nulla importa della loro volontà di diventare o meno madri e delle circostanze in cui la gravidanza è insorta.

Ad oggi sono poco meno di 30 i paesi in cui l’aborto è ancora una pratica vietata e severamente punita dalla legge, ciò significa che oltre 90 milioni di donne non hanno la possibilità di scegliere se esercitare o meno il proprio diritto alla maternità e finchè ogni donna non deciderà liberamente del proprio corpo e della propria vita la battaglia femminista e dei diritti umani non potrà dirsi conclusa.

Si può anche come

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