Pizzaballa, patriarca di Gerusalemme dei latini. Intervista di Riccardo Onofri

da Riccardo Onofri

Sua Beatitudine, chi è il patriarca di Gerusalemme dei latini? 

Il patriarcato latino fu creato anticamente durante la prima crociata. Poi naturalmente è stato soppresso. È stato poi rimesso in piedi nel 1847 con lo stesso nome, ma in effetti non è altro che una diocesi romano-cattolica per un po’ tutto il Medioriente: Israele, Giordania, Palestina, e Cipro. Una diocesi che ha il compito di curare le comunità cattoliche di rito latino. 

I suoi due predecessori erano arabi. Lei invece ha studiato presso l’Università Ebraica di Gerusalemme e per anni si è occupato dei cattolici di lingua ebraica. La sua nomina è sintomo di un cambio di atteggiamento del Vaticano nei confronti di Israele? 

Queste sono valutazioni politiche che lasciano il tempo che trovano. La realtà rimane che almeno due terzi della popolazione della Chiesa sono arabi. Nella chiesa locale vi saranno sempre sensibilità e prospettive arabe, questo è fuori discussione. Detto ciò, bisogna prendere atto della realtà del territorio e regolarsi di conseguenza. Noi non abbiamo nessun preconcetto nei confronti di Israele, ma questo non ci impedisce di dire quello che pensiamo su questioni come i diritti umani, la vita, e così via. È evidente però che è auspicabile trovare un modo di relazionarsi con lo stato di Israele che sia positivo e costruttivo. Questo è importante, soprattutto per i cristiani che vivono nel paese. Io ho sempre cercato di costruire relazioni corrette e sane con le istituzioni. E relazioni serene con le autorità religiose. Senza pregiudizi. 

E quali sono i rapporti del patriarcato col Custode dei Francescani di Terrasanta, ruolo che lei ha coperto dal 2004 al 2016? 

Quelli del patriarca latino e del custode sono due ruoli molto diversi. Il custode di Terrasanta è il provinciale, cioè il superiore dei francescani in Medioriente. Ha anche un ruolo pubblico molto evidente poiché ha la custodia dei luoghi santi, oltre a

supervisionare tante attività sia pastorali sia educative un po’ in tutto il Medioriente. Soprattutto, è una realtà storica di ottocento anni, quindi molto antica, mentre il patriarcato è più recente. Il patriarca ha una funzione prettamente pastorale. Mentre il custode è responsabile dei francescani, il vescovo patriarca ha di fronte a sé la Chiesa a 360 gradi. Sono quindi due prospettive completamente diverse, che però devono interagire. La cura dei pellegrinaggi è in gran parte responsabilità dei francescani della Custodia, ed è una parte costitutiva della vita della Chiesa. Patriarca e custode non sono superiori l’uno all’altro, ma hanno ruoli distinti. 

I cristiani di Terrasanta accusano le autorità ecclesiastiche di svendere le proprietà della Chiesa. È stato una controversia legata ai patriarcati delle altre chiese e ora anche al suo. È vero che ha svenduto tante proprietà nell’area di Nazaret? 

Il patriarcato non ha mai svenduto niente. La nostra realtà è molto diversa rispetto a quella di altre chiese. Diciamolo: ho vissuto una situazione molto pesante. Quando sono stato nominato amministratore apostolico del patriarcato nel 2016, mi avevano lasciato 300 milioni di dollari di debiti, e i debiti si devono pagare. Era una cifra astronomica. 

Ha esplorato altre soluzioni? 

Dopo diversi anni l’unica soluzione concreta era quella di vendere una proprietà molto grande a Nazaret, e non tante come invece è stato detto. Ci sono state proteste da parte dei cristiani, alimentate dai media. Ma quelle contro la vendità delle proprietà del patriarcato greco sono state ben maggiori. 

A chi è andata la proprietà di Nazaret? 

È stata divisa, e la parte migliore l’abbiamo tenuta noi. Con l’altra abbiamo avuto il denaro per riportare i conti in equilibrio, altrimenti sarebbe saltato tutto il sistema. Abbiamo venduto a un businessman arabo locale. 

Cristiano? 

Musulmano. 

Lei ha per anni guidato la comunità cattolica di lingua ebraica in Israele. Chi sono i cattolici ebraofoni?

Bisogna operare una distinzione. Ci sono le comunità cattoliche di lingua ebraica, poche centinaia di persone, e intorno a loro esiste la comunità, molto più grande, dei migranti, che sono decine di migliaia. 

Il primo gruppo è composto da cattolici di lingua ebraica: persone in parte provenienti dall’ebraismo in parte no, che vivono dentro l’Israele ebraica. Nel paese c’è una componente cattolica che pensa, si esprime, agisce, e lavora all’interno del mondo ebraofono. La prima generazione era di estrazione europea. Oggi è fatta di matrimoni misti, fedeli nati lì… c’è un po’ di tutto. Cinquant’anni fa, dopo la nascita dello stato ebraico, si è percepita l’esigenza di dare vita a un contesto dove queste persone si sentissero a casa loro. 

La novità è che a questo piccolo gruppo oggi si aggiungono i migranti. Mentre i genitori tendono a celebrare nelle loro lingue, i loro figli parlano ebraico. Dunque la realtà sta cambiando: parliamo di giovani nati in Israele, di madrelingua ebraica, ma che hanno origini, per esempio, filippine. Alcuni sono cittadini ma in gran parte no. Si tratta di decine di comunità concentrate soprattutto a Gerusalemme, Tel Aviv, e Ber Sheva, e raccolte in un vicariato. 

Donald Trump è riuscito a fare ciò in cui i suoi predecessori avevano fallito. Gli Emirati, il Bahrein, e il Sudan hanno stabilito rapporti diplomatici ufficiali con Israele. Come l’hanno presa i cristiani? 

Non sono contenti. Si sono sentiti traditi dal mondo arabo. Ma le relazioni tra Israele e questi paesi, me lo lasci dire, sono una scoperta dell’acqua calda. Si sapeva che c’erano rapporti. Prima sotto il tavolo, adesso sopra. La normalizzazione dei rapporti non ha sorpreso ma ha ferito la coscienza palestinese. 

Vale anche per gli arabi israeliani? 

In generale sì. Ciascuno ha le sue sensibilità. C’è chi ne comprende le ragioni e chi è molto più critico. La questione palestinese crea sempre molto disagio. Da un punto di vista politico questa notizia ha sparigliato le carte e bisognerà pensare a un nuovo modello per il futuro.

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