Piccole grandi vittorie per la libertà in Malaysia

da Riccardo Onofri

Due piccole vittorie legali contro l’estremismo islamico sono state celebrate recentemente in Malaysia, paese del sudest asiatico di 32 milioni di abitanti dove il 60% della popolazione è musulmana.

Giovedì 25 febbraio un uomo sulla trentina ha vinto una sfida storica in tribunale contro il divieto islamico di fare sesso “contro l’ordine della natura”, cioè omosessuale, in quello che è stato un piccolo passo avanti per la libertà sessuale e i diritti gay nel paese a maggioranza musulmana. L’uomo aveva intentato la causa dopo essere stato arrestato nello stato centrale di Selangor nel 2018 per aver provato a fare sesso gay, cosa illegale in Malaysia (le condanne sono rare ma in crescita negli ultimi anni).

Con decisione unanime, la massima corte del paese ha stabilito che la norma islamica utilizzata nel Selangor era incostituzionale e le autorità non avevano il potere di emanare tale legge. Nonostante la sentenza, gli uomini gay malesi rischiano ancora fino a 20 anni di carcere secondo una legge risalente all’era coloniale britannica che vieta il sesso gay. Infatti, l’uomo che ha lanciato la sfida legale sosteneva che Selangor non aveva il potere di far rispettare un divieto islamico sul “rapporto contro l’ordine della natura” quando il sesso gay è già un crimine secondo le leggi civili, e la corte si è trovata d’accordo.

La decisione cambia poco, ma la piccola vittoria è senza dubbio da celebrare.

Gli estremisti islamici della Malaysia hanno subito anche un’altra decisione, presa dalla High Court di Kuala Lumpur a inizio marzo: il divieto di usare la parola “Allah” per Dio nelle pubblicazioni non islamiche è stato annullato in una sentenza storica su una questione che ha alimentato le tensioni religiose negli ultimi anni. La decisione è stata presa a seguito di una causa intentata da Jill Ireland, una cristiana malese, che affermava che i suoi diritti costituzionali erano stati violati. Le autorità nel 2008 avevano sequestrato all’aeroporto di Kuala Lumpur i libri religiosi in lingua malese e i CD della donna proprio sulla base del divieto per i non musulmani di chiamare Dio Allah. Secondo i cristiani malesi, la parola è stata usata nel paese per secoli da tutte le fedi, in particolare sul lato malese dell’isola del Borneo.

Il tribunale ha dichiarato che la costituzione garantisce a Ireland l’uguaglianza davanti alla legge e che ha il diritto di importare le pubblicazioni. La corte ha anche dichiarato che la direttiva contro l’uso della parola Allah era illegale e incostituzionale.

Nel 2015, la più alta corte della Malaysia aveva respinto un ricorso della Chiesa cattolica per usare “Allah” in una pubblicazione cristiana. La decisione di marzo quindi è un altro bel passo avanti per la libertà di espressione e di religione.

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