ORTODOSSI RUSSI ALLE PRESE CON IL VIRUS

da Riccardo Onofri

A differenza della chiesa cattolica, le chiese ortodosse sono caratterizzate da strutture con una gerarchia più fluida e sono in molti casi divise in patriarcati nazionali a forte carattere etnico. A questi aspetti si unisce una cultura generalmente più tradizionalista e conservatrice rispetto all’atteggiamento culturale della maggior parte dei cattolici. Tutto ciò ha fatto sì che in più casi le liturgie e i riti religiosi ortodossi sono continuati durante il periodo mondiale di quarantena, certe volte contro il parere della gerarchia, certe volte con il beneplacito di essa, come nel caso del patriarcato ortodosso della Georgia, che in un comunicato si è espresso fortemente contrario alla chiusura delle chiese, affermando che chi dice che la comunione può favorire il contagio sbaglia, in quanto il corpo di Cristo “porta guarigione al corpo e all’anima”.

In effetti, non è difficile capire perché per molti la pratica della comunione delle chiese di liturgia orientale contribuisca al contagio. Il pane e il vino consacrati vengono mischiati e posti in un recipiente. Al momento della comunione i fedeli, in fila uno dopo l’altro, vengono imboccati dal celebrante che raccoglie l’eucaristia con un cucchiaio, lo stesso per tutti. La pratica della venerazione delle icone, in cui i fedeli baciano ripetutamente le immagini sacre, è facilmenmte un altro veicolo per l’infezione.

A livello globale, la Russia è settima nelle statistiche, avendo (ufficialmente) registrato fino ad oggi più casi di Iran, Turchia, e Cina. nel paese sono molte le critiche nei confronti del patriarcato di Mosca, che avrebbe sottovalutato il pericolo del coronavirus e avrebbe ritardato le misure per contrastarne la diffusione. E’ recente infatti, forse troppo recente, la notizia secondo la quale il patriarca Kirill ha invitato tutti i fedeli ad assumersi le proprie responsabilità, insieme all’emissione di un comunicato da parte del comitato patriarcale di Mosca. Benché il comunicato enfatizzi la necessità di assicurare ai fedeli le dovute cure pastorali, anche se ciò comporta recarsi nelle case del popolo, vengono sottolineate le responsabilità dei membri del clero che hanno disobbedito alle regole: le procedure di accertamento di violazioni potrebbero comportare fino alla riduzione allo stato laicale di alcuni sacerdoti.

I quali, purtroppo, continuano a morire. Tanti sono gli illustri, o meno, prelati della chiesa russa che sono caduti vittima del coronavirus. L’arcidiacono Damaskin è deceduto qualche giorno fa. Dmitrij Pelinenko, un novizio del monastero della Lavra di San Sergio, addirittura si è dato fuoco dopo aver ricevuto la diagnosi tanto temuta. Il vescovo di Zheleznogorsk Venjamin è deceduto il 26 aprile. Pavlovo Foma, vescovo a capo del segretariato del patriarcato, il 27 aprile sarebbe stato ricoverato. Aleksandr Agejkin, parroco della cattedrale patriarcale dell’Epifania, sarebbe morto anch’egli per l’infezione, sebbene il patriarcato ha per ora negato la notizia.

Negli Urali, al metropolita di Celjabinsk Grigorij è stato diagnosticato il Covid-19 insieme a circa dieci dei suoi preti, i quali avevano celebrato con lui la liturgia pasquale nella cattedrale di San Simeonoe. Il problema, poi, è che molti dei famigliari dei preti sono stati contagiati dopo di loro. Domenica 3  maggio, anche l’ex metropolita di Astrakhan Iona è morto all’età di 78 anni per il coronavirus. Altra vittima del virus è stato padre Yevgeny, un prete di 66 anni, padre di cinque figli e nonno di nove nipoti, che esercitava il suo ministero in un monastero femminile di Mosca.

Tutte le strutture e il personale della chiesa ortodossa russa sono stati colpiti dal coronavirus: dalle cattedrali ai monasteri, dalle accademie teologiche ai seminari. Il patriarca Kirill ha espresso la propria angoscia durante l’omelia della terza domenica dopo Pasqua, dedicata alle donne che portarono gli unguenti al corpo di Gesù.

Dato che molti preti di parrocchia sono sposati e mantengono col proprio stipendio le loro spesso numerose famiglie, non sono pochi i membri del clero che in questo periodo difficile stanno affrontando severe restrizioni economiche. Molti, come quelli della regione della Samara, sul Volga, hanno addirittura espresso la propria frustrazione con una lettera indirizzata al patriarcato, chiedendo supporto materiale alla gerarchia moscovita. Il patriarca Kirill ha risposto invitando i parrocchiani benestati a sostenere loro stessi i loro preti, e lodando il governo per aver messo in atto delle misure secondo le quali i sacerdoti possono accedere gratuitamente ai servizi municipali. 

Nel frattempo, Kirill non ha tardato a implementare le punizioni contro i sacerdoti “ribelli”. È di pochi giorni la notizia che il protoprete Vladimir Chuvikin, superiore delle chiese del complesso monastico patriarcale moscovita di sanm Nicola, è stato sospeso per aver tenuto le celebrazioni della Settimana santa senza alcuna limitazione e restrizione, causando molte infezioni. La stessa sorte è toccata al protodiacono Andrej Kuraev per ragioni più curiose. Nel giorno del funerale di suo padre, che era un prete di parrocchia morto per coronavirus, Kuraev si era infatti espresso sul suo blog in maniera fortemente critica contro suo padre e contro il patriarca Kirill, accusandolo di esercitare una forma di “papismo alla russa” per la forte centralizzazione della sua leadership. 

Mentre la chiesa russa corre ai ripari, così come altre chiese dell’universo ortodosso, forse la lezione da trarre è che prevenire è meglio che curare, anche nel caso delle comunità religiose. Affidarsi a Dio vuol dire mettere in pratica le conoscenze scientifiche a nostra disposizione, e, per evitare tragedie, fare buon uso della ragione e del buon senso, che in fondo sono doni di Dio.

Si può anche come

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