Lo strano capodanno degli ebrei di Breslev

da Riccardo Onofri

Sabato 19 e domenica 20 settembre 2020 è il capodanno ebraico, Rosh haShanà, che segna l’inizio dell’anno 5781 dalla creazione del mondo. Il calendario ebraico è di tipo lunisolare: i dodici mesi corrispondono al ciclo lunare, e un tredicesimo mese intercalare viene aggiunto circa ogni tre anni per sincronizzare il calendario alla rivoluzione terrestre attorno al sole. Le feste ebraiche quindi non cadono sempre nella stessa data gregoriana, ma vengono celebrate nella stessa stagione.

Tra le tradizioni associate alla ricorrenza vi sono l’annullamento dei giuramenti, il tashlikh (buttare pietre nell’acqua come simbolo dei propri peccati), la purificazione nella mikveh (una vasca speciale per le immersioni rituali), e soprattutto il comandamento di sentire il suono dello shofar, un corno di montone che veniva suonato nel tempio di Gerusalemme.

Ma c’è un’altra tradizione di Rosh haShanà praticata da un gruppo (molto) particolare di ebrei. Parliamo della visita alla tomba del rebbe Nachman di Breslev (Bratslav) in Ucraina, fondatore a fine Settecento di una setta di ebrei chassidici oggi conosciuti come bresleviti.

Il chassidismo (chassidut) è un movimento dell’ebraismo ortodosso di rinascita spirituale fondato da Israel ben Eliezer (il “Baal Shem Tov” – “grande nome buono”) nel territorio dell’attuale Ucraina durante il Settecento, che, inizialmente osteggiato (anche a causa del trauma ancora vivo tra gli ebrei dell’epoca del falso messia Sabbatai Zevi), ha rappresentato una rivoluzione nel mondo ebraico. I chassidim enfatizzano la mistica, le pratiche devozionali come la danza, la stretta osservanza religiosa, e vivono in comunità più o meno chiuse al mondo esterno e devote al loro leader, il rebbe. Oggi i chassidim vivono principalmente in Israele e Stati Uniti e sono facilmente riconoscibili per i cappotti e i cappelli in pelliccia (shtreimel) che indossano.

Da quando il loro fondatore, il rebbe Nachman, morì nel 1811, in ottemperanza alla sua volontà migliaia di bresleviti (parliamo di fino a 40.000 ogni anno), accorrono per Rosh haShanà presso la sua tomba a Uman, Ucraina, da Israele e da tutto il mondo per pregare insieme ma anche, secondo alcune fonti, per “trasgredire” un po’ durante i festeggiamenti di capodanno (alcol e prostituzione non mancano).

I rapporti tra i bresleviti, la popolazione locale, e il governo ucraino sono sempre stati difficili, ma questa volta anche il coronavirus ci ha messo la sua. A causa dell’alto numero di casi di Covid-19 in Israele l’Ucraina ha dichiarato che non avrebbe ammesso i bresleviti che intendevano compiere il pellegrinaggio, i quali, ostinati, hanno fatto orecchie da mercante e hanno pensato di entrare in Ucraina dalla Bielorussia.

Ed è così che, mentre l’anno nuovo comincia e il richiamo dello shofar risuona, circa duemila di loro, inclusi bambini e neonati, sono da giorni accampati al confine tra i due paesi, senza bagni, chi con la tenda chi con neanche quella. Le tensioni con le forze dell’ordine ucraine stanno crescendo, e la situazione è a quanto pare critica. Il presidente ucraino Zelensky (che è ebreo) ha ribadito che i confini rimarrano chiusi.

Per il momento, quel che è certo in tutta questa storia è che il coronavirus sta regalando agli ebrei di Breslev un capodanno ancora più strano di quello a cui sono abituati.

Si può anche come

Lascia un Commento