Le linee delle nostre vite, cosi come quelle degli skyline, delle strade delle piazze e degli edifici che oggi disegnano lo spazio urbano si sono inevitabilmente allontanate.
Allontanate dallo sguardo quotidiano e dallo sguardo scontato dell’abitudine.
La strada che ogni giorno percorrevamo per andare al lavoro, la coda, il traffico, il treno o la metro affollata sono schegge di uno specchio di memoria che difficilmente rivivremo allo stesso modo, con buona pace di tutti coloro che pensavano di risolvere i problemi del mondo posizionando 5 alberi sui balconi dei palazzi.
La pandemia che ha colpito il l’intero continente non è solo epidemiologica non è solo sociale. E’ prima di tutto urbana. (Avete capito bene!). Urbana ed architettonica. In modo strutturale.
I virologi (che in questi giorni hanno preso il posto dei migliori influencer) possono solo dettare regole per evitare il contagio ma l’unica regola che sentiamo ripetere è “restate a casa”. Non perché a casa ci sia l’antidoto ma solamente in quanto non c’è alternativa al contagio se si continua a vivere a lavorare a spostarsi e ad incontrarsi nella maniera di sempre.
E nessuno di noi si illuda che anche una volta trovato il vaccino per questo virus (nel caso si trovasse) tutto tornerà come prima. Purtroppo la storia insegna che i cicli degli avvenimenti come questi sono inevitabili ed hanno sempre scandito la storia segnandone un nuovo percorso.
Il cambiamento dei nostri modi di vivere è inevitabile. La tavola del gioco dove si muoveranno le pedine umane dovrà cambiare layout. La mobilità dovrà ragionare in nuovi assetti di interior in sistemi di trasporto nei quali i sedili simili a capsule potranno tenere a distanza di sicurezza i passeggieri. La mobilità veicolare singola sarà preferibile, ma sempre di più dovranno essere predisposte piste ciclabili e pedonali per raggiungere qualsiasi luogo.
Questo sarà un cambiamento così epocale che cambierà anche il metro di misura con il quale tutto dovrà essere riprogettato, dal macroscopico landscape al microscopico appartamento. Ed il metro di misura dovrà seguire regole ben definite: quella del nuovo distanziamento di sicurezza per la salute e quella dei flussi per permettere che tale distanza sia rispettata.
Le regole del Modulor, (sulle quali si è basato tutto il movimento moderno) ci ricorderanno il tempo in cui il criterio di misura era l’uomo mentre bisognerà creare il nuovo MODULO.
Il MODULO sarà il nuovo metro di misura del progetto e dovrà tener conto dei nuovi canoni di sicurezza per i quali le distanze non sono intorno all’essere umano, bensi diventano loro l’oggetto intorno al quale gravita l’essere umano.
Il mio consiglio è quello di cominciare subito, questa rivoluzione di pensiero ognuno per l’argomento che le compete per non essere impreparati come oggi all’arrivo delle nuove epidemie.
Qualche giorno fa i due urbanisti Richard Florida e Steven Pedigo Brookings hanno già stilato un interessante articolo su un elenco di 10 punti tra infrastrutture e spazi pubblici che avranno la necessità di essere riprogettati, soprattutto passando dai grandi spazi di aggregazione funzionale (areoporti) a quelli culturali (teatri per esempio) nei quali sarà necessario accedere dopo verifiche di temperatura o nei quali bisognerà riprogettare la capienza in modo da distanziare le persone.
Io aggiungo che non basta una ricerca tipologica basata esclusivamente sulle dimensioni e sulle capacità di accoglienza delle strutture ma servono studi sulla Modalità di ricezione delle infrastrutture, magari con la creazione di nuovi elementi di sanificazione e studi sui nuovi spazi di sterilizzazione da ri-progettare in tutti gli edifici privati e pubblici.
Le hall dei grandi alberghi dovranno essere riconvertite, gli stessi androni dei Nostri palazzi dovranno munirsi di elementi filtro- passaggio, e cosi come per le aree di spogliatoio degli ospedali chi entra dovrà lasciare la “propria divisa” usata all’esterno per entrare nell’ambiente sano quale scale o ascensori (che rappresentano oggi per molti virologi sono il luogo più pericoloso per un eventuale contagio), i portinai che ritorneranno invece ad assumere un ruolo importantissimo quali controllori di tutti questi passaggi saranno riabilitati al pari di infermieri di primo soccorso al riconoscimento sintomi, al fine di vigilare su tutti gli accessi nelle zone comuni e salubri.
Insomma probabilmente come già stiamo osservando non solo la catena dei rapporti sociali cambierà su fasce orizzontali, ma ci sarà un cambiamento anche su fasce verticali.
In questa ottica nasceranno nuovi posti di lavoro, nuovi luoghi nuovi edifici, dove come nei call center gli uomini controlleranno grazie appositi dispositivi i movimenti di tutti noi per registrarne spostamenti ed eventuali contatti; questo argomento meriterà una riflessione a parte nel mio prossimo articolo ponendo a confronto l’importanza della privacy di ognuno, rispetto al concetto i salvaguardia di salute comunitaria.
Concludo con una riflessione, ritornando al concetto di linee, le linee sapienti e grandi di coloro che in passato e hanno disegnato nella storia le nostre città italiane.
Osservo le immagini della fontana di Trevi un quadro in cui la tela del silenzio è strappata dal rumore rumore dell’acqua. Una visione di eternità.
Osservo Venezia, l’immagine del delfino nella laguna sembra pendere luogo in un sogno romantico nel quale la natura insinuandosi liberamente tra i palazzi crea un atmosfera degna del migliore film di tim burton;
Osservo le piazze vuote di Torino, che invece con la loro eleganza assomigliano ad un abito di sartoria cosi finemente cucito che quasi verrebbe voglia di non indossarlo per non rovinare con la nostra presenza le sue linee sinuose e nobili
Osservo poi anche altre piazze d’Europa, quelle nuove, quelle contemporanee, quelle per le quali sino ad oggi io come architetto mi sono immaginato in una vita futura bella e dinamica…. ma a parte qualche rara eccezione non riesco a trovare nulla di eternamente bello
I vuoti urbani di Berlino così interessanti fino a ieri oggi senza presenza di persone mi provocano uno stato d’ansia di desolazione e di tristezza più di quanto l’inconscio possa fare ogni volta che si ricorda l’olocausto.
E per ora mi sento fortunato. Di vivere in italia.