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domenica, Settembre 8, 2024

Legislazione e Pandemia

La “causa di forza maggiore” invocata dalla pandemia da Covid-19

Nei primi mesi del 2020 assistiamo alla situazione emergenziale determinata dal diffondersi della pandemia Coronavirus COVID-19 di origine cinese poi diffusasi in tutto il mondo. A fronte di tale situazione la legislazione di emergenza che ne è scaturita in Italia a partire dal Decreto Legge «Io resto a casa» n. 6 del 23 febbraio 2020, ha imposto l’adozione di misure stringenti limitative di diritti inviolabili quali quello alla libertà, senza conoscerne in anticipo l’impatto e le tempistiche di ripresa dell’economia nazionale.

Si tratta di un evento senza precedenti che induce a riflettere, senza dubbio, sui principi di causa forza maggiore o impossibilità sopravvenuta non imputabile al soggetto.

Preliminarmente, definiamo la causa forza maggiore. Pur se l’ordinamento italiano non fornisce una definizione normativa di “forza maggiore”; tuttavia la stessa può essere desunta dagli articoli 1218, 1256 e 1467 c.c. – che disciplinano rispettivamente l’esenzione da responsabilità per inadempimento del debitore per causa a lui non imputabile, per impossibilità sopravvenuta e per eccessiva onerosità – nonché dall’ art. 45 c.p.

L’impedimento di forza maggiore, dunque, deve assumere caratteri di straordinarietà ed imprevedibilità. Nella prassi internazionale, sono definiti causa di forza maggiore gli avvenimenti “straordinari ed imprevedibili” (come ad esempio i terremoti, gli uragani, le guerre, le ribellioni, ecc.).

Tra le cause invocabili ai fini della richiamata “impossibilità della prestazione”, rientrano – per quel che interessa in questa sede – gli ordini o i divieti sopravvenuti dell’autorità amministrativa c.d. “factum principis”, ossia provvedimenti legislativi o amministrativi che rendano impossibile la prestazione, indipendentemente dal comportamento dell’obbligato.

Le restrizioni introdotte dalle autorità italiane, consistenti nell’imposizione di obblighi di quarantena o nell’interruzione e/o sospensione dell’attività produttiva, appaiono in astratto sussumibili nella previsione di cui all’art. 1256 c.c. La situazione attuale nell’ordinamento italiano ha, infatti, determinato  una riduzione dell’offerta di lavoro a causa, in primis, della malattia (o nei casi più gravi alla morte) di moltissimi lavoratori con un conseguente calo della produttività e del Prodotto Interno Lordo; la chiusura – al momento per un tempo indeterminato – delle imprese al fine di limitare il contagio oltre che per le difficoltà di reperire le materie prime, allocate anche in paesi stranieri anch’essi colpiti dalla pandemia; un forte calo della domanda da parte dei consumatori, con totale azzeramento in alcuni settori come quello del moda (non ritenuto tra le attività di prima necessità).

Molti operatori economici, inattivi per espressa previsione di legge, si trovano a fronteggiare da un lato un eccesso di merce invenduta e, dall’altro lato, l’incapacità di estinguere le proprie obbligazioni, anche se temporaneamente. In particolare, si stanno verificando due tipologie di inadempimento: da un lato il contraente non è in grado di eseguire la prestazione perché vietata dalle misure di contenimento; dall’altro lato il contraente non è in grado di eseguire la prestazione perché, pur potendo materialmente far fronte alla produzione, si trova tuttavia in una situazione di stallo non dipendente da lui (si pensi al blocco della filiera e delle consegne). Ciò nonostante il cd. decreto “Cura Italia” che mette a disposizione un fondo di 25 miliardi e attiva flussi economici per 350 miliardi e successivi numerosi Decreti ancora in lavorazione ed attuazione, sembrerebbe aver introdotto una eccezionale causa di esonero di responsabilità del debitore dovuta a causa di forza maggiore. Invero, l’ art. 91 prevede che “Il rispetto delle misure di contenimento di cui al presente decreto è sempre valutata ai fini dell’esclusione, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1218 e 1223 c.c., della responsabilità del debitore, anche relativamente all’applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti”. 

Da tal disposizione e, considerata la eccezionale situazione, dovrebbe apparire pacifico, dunque, come la pandemia attuale possa annoverarsi, prima fra tutti, come l’evento straordinario per eccellenza tale da giustificare la risoluzione del contratto.

Tuttavia, deve altresì considerarsi che, ove la maggior parte dei rapporti contrattuali fosse risolta, ciò si ripercuoterebbe a cascata e con effetto “boomerang” sullo stesso sistema economico e vedrebbe l’interprete restio a invalidare un numero troppo elevato di contratti, pur in presenza di oggettive ragioni. La situazione emergenziale dovrebbe cioè ispirare comportamenti aperti alla rinegoziazione, proroghe, e concessioni nel rapporto privato ispirati, più che al rispetto delle clausole contrattuali, alla buona fede.

Nella situazione di grave emergenza economica, dove diversi sono i settori colpiti dalle misure di contenimento, sicuramente tra quelli costretti a pagarne le conseguenze c’è quello della moda Made in Italy che rappresenta il 4% del PIL. Di fatto le norme imposte dal governo per il contenimento del contagio hanno momentaneamente paralizzato l’industria della moda.

Invero, la Federazione Moda ha già richiesto, attraverso Confcommercio, di includere il settore moda tra quelli maggiormente colpiti dalle disposizioni restrittive elencati nell’art. 61 del Decreto Legge n. 18 del 17 marzo 2020. Tra le istanze rivolte al Governo italiano quelle relative a sgravi fiscali, proroghe di scadenze e richieste di indennizzi.

Maria Grazia Ianniello
Maria Grazia Ianniello
Avvocato. Si laurea in Giurisprudenza all'Università degli Studi di Salerno con tesi in Materia di "Teoria generale del processo penale" e si abilita alla professione di Avvocato nell'anno 2005. Lavora come libero professionista con particolari competenze in Diritto penale - Diritto dell'immigrazione.

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