Le restrizioni legate all’epidemia del Covid-19 hanno portato quest’estate a un Hajj – il pellegrinaggio alla Mecca obbligatorio per ogni musulmano una volta nella vita – di dimensioni notevolmente ridotte. L’evento si è svolto a cavallo tra luglio e agosto e le autorità saudite hanno ammesso solamente un migliaio di pellegrini. I media di tutto il mondo hanno diffuso le immagini, diventate celebri, degli sparuti fedeli che circumambulavano attorno alla Kaaba – il piccolo edificio cubico verso il quale tutti i musulmani pregano – tenendosi a debito distanziamento sociale.
Ma non tutti sanno che, coronavirus a parte, negli ultimi anni il primato del pellegrinaggio islamico più grande del mondo non appartiene alla Mecca, bensì a Karbala, un centinaio di chilometri a sud di Bagdad, nell’attuale Iraq. Karbala è la città santa dello sciismo, la branca dell’islam a cui appartiene più o meno un decimo dei fedeli islamici, e quella ufficiale in Iran. Ciò che rende santa questa città è il mausoleo di Hussein, nipote del profeta Maometto e terzo Imam dello sciismo, che nel 680 (cinquant’anni dopo la morte del nonno) fu qui ucciso insieme a molti familiari dalle truppe di Yazid, segnando definitivamente lo scisma sunnita-sciita e venendo poi venerato come martire.
Nel corso dei secoli il mausoleo di Karbala è stato distrutto, ricostruito, e rimodellato più volte. Quest’anno i rituali di lutto per la morte di Hussein sono cominciati con Ashura il 30 agosto e si concluderanno l’8 ottobre col pellegrinaggio dell’Arbaeen, che segna quaranta giorni dal martirio dell’imam.
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Da quando Saddam Hussein, che ostacolava le manifestazioni sciite a Karbala, fu rovesciato nel 2003, il pellegrinaggio è tornato a fiorire. Nel 2004 più di 2 milioni di persone percorsero a piedi il tratto da Najaf (altra città santa sciita) a Karbala. L’evento ha poi eclissato l’Hajj (che in media conta 2-3 milioni di persone l’anno), arrivando a toccare quota 22 milioni di pellegrini nel 2016.
La crescita esponenziale del pellegrinaggio sciita a Karbala, appena scalfito dall’epidemia, è sintomo del rinascimento religioso e politico che sta caratterizzando il mondo sciita negli ultimi anni.