Nonostante abbia già avuto effetti significativi, l’industria della moda deve ancora sentire il peso delle ripercussioni – finanziarie e non – causate dalla pandemia di Covid-19.
L’arrivo del coronavirus in Italia lo scorso 21 febbraio è coinciso con la settimana della moda di Milano tenutasi dal 18 al 24 e iniziata quasi senza buyer provenienti dalla Cina, impossibilitati a viaggiare verso l’Europa a causa del blocco dei voli da e per il Paese. Parliamo di circa mille persone alle quali le organizzazioni di categorie si sono organizzate per andargli incontro virtualmente: le sfilate e molti altri appuntamenti sono avvenute in streaming live e tutti gli operatori hanno utilizzato la tecnologia e ogni altro mezzo per ridurre al minimo i disagi e il senso di esclusione che i cinesi stavano in quel momento e solo all’inizio sperimentando.
La conclusione è nota a tutti: Giorgio Armani, che avrebbe chiuso la manifestazione con l’evento di domenica 23 febbraio, ha sfilato a porte chiuse, ancora quando sembrava che a Milano il blocco sarebbe durato per almeno un mese (e così, come ben sappiamo, non è stato). Il panico ha poi seguito gli spettatori a Parigi, dove sono state cancellate diverse presentazioni, sono stati prenotati voli di ritorno all’improvviso e sono state indossate le introvabili mascherine per il viso, tra cui una progettata su misura per lo show di Chanel. Ai redattori americani rientrati negli Stati Uniti dall’Italia e dalla Francia è stato consigliato di mettersi in quarantena per due settimane, eppure non tutti eccetto la regina di Vogue America Anna Wintour, hanno ascoltato il suggerimento.
Nemmeno quindici giorni dopo, New York – epicentro della moda oltreoceano – si è dichiarata in stato di emergenza. Questo ha comportato che le case di moda locali (così come le fashion media company, le agenzie di relazioni pubbliche etc.) hanno imposto lo smart working per i propri dipendenti e rinviato, se non cancellato, servizi fotografici, anteprime stampa, cene e viaggi di lavoro. Nel mondo, intanto, Versace annulla l’evento di presentazione della collezione Cruise in programma a maggio negli Stati Uniti; Segue Hermes con il ‘Saut Hermès’, il suo concorso annuale di salto a ostacoli nell’equitazione che avrebbe dovuto svolgersi al Grand Palais di Parigi nel weekend dal 20 al 22 marzo; si accoda Gucci con la cancellazione della sfilata della Cruise Collection 2021, inizialmente programmata a San Francisco il prossimo 18 maggio; Prada rinvial’evento previsto a Tokyo il 21 maggio per la collezione Resort.
C’è stato il conclamato e tanto annunciato Lockdown istituzionale…l’obbligo stabilito dal Decreto #IoRestoaCasa e pian piano il mondo intero si è avviato al blocco totale o quasi…
Elencare ogni defezione dallo show mondiale sarebbe fin troppo lungo, di certo rimane il danno economico e finanziario, che però, deve ancora manifestarsi in tutta la sua potenza.
Le stime per l’Italia parlano di un meno 25% del settore del commercio al dettaglio (meno 50% in Cina), con marchi globali come Nike che si preparano a chiudere in negativo il primo trimestre dell’anno. La banca d’investimento Cowen prevede un declino del 34% per il colosso dell’abbigliamento sportivo, causato dalla chiusura dei suoi negozi negli Stati Uniti, Canada, Europa occidentale, Australia e Nuova Zelanda almeno fino al prossimo 27 marzo, mentre Woozle Research stima che le vendite siano calate del 21% da metà febbraio al 10 marzo.
L’acquisto e la vendita del lusso è uno scambio che avviene prevalentemente di persona, perciò quando molti acquirenti hanno annullato i loro piani di viaggio durante le settimane di Milano e Parigi – in cui aziende e buyer si incontrano in fiere e showroom per la compravendita delle prossime collezioni – i marchi hanno dovuto pensare a soluzioni creative e veloci. Parecchi si sono digitalizzati usufruendo di piattaforme per raccogliere gli ordini online, ma l’illusione di aver avuto un discreto successo utilizzando canali diversi dovrà presto lasciare spazio a un’amara certezza: le conseguenze della pandemia sulle vendite del 2020 verranno ricordate a lungo, nonostante i cerotti messi qua e là per bloccare l’emorragia. I buyer devono essere in grado di toccare con mano la qualità, la vestibilità e la fabbricazione dei capi, provandoli o vedendoli su un modello. Le manifestazioni già iniziavano ad essere semideserte, in genere i designer partecipano anche per incontrare nuovi potenziali contatti ogni stagione, ma molti acquirenti internazionali hanno annullato i loro viaggi e alcuni di quelli che hanno presenziato alle settimane di New York e Parigi non hanno poi effettuato ordini perché il coronavirus ha già dal principio influenzato il traffico nei loro negozi, in particolare in Asia.
La reazione del mercato azionario di certo non ha aiutato le cose, secondo WWD la settimana del 28 febbraio 2020 è stata una delle peggiori che il mercato americano abbia vissuto dalla recessione del 2008, e a livello globale anche i mercati di Londra, Milano e Parigi hanno registrato cali significativi: brand di moda quotati in borsa come Burberry, Hermès, Revolve e Lululemon Athletica hanno visto una drastica diminuzione del prezzo delle azioni; il più sostanziale è ascrivibile a Revolve e Lululemon, entrambi scesi del 4,4%. Tuttavia, il panorama della moda non è solo fatto di grandi aziende e di brand di proprietà pubblica: questi sentiranno indubbiamente il peso della pandemia di Covid-19, ma un po’ grazie ai loro margini elevati, un po’ grazie alla fedeltà dei loro clienti, è probabile che – una volta che il virus avrà fatto il suo corso – si ritroveranno nuovamente in piedi. Lo conferma anche il Wall Street Journal: le aziende più grandi sono meglio attrezzate per affrontare le conseguenze del coronavirus rispetto a quelle più piccole, molte delle quali non condividono necessariamente lo stesso futuro ottimista.
La chiusura dei negozi fisici che – dopo la Cina e l’Italia – si è estesa agli Stati Uniti e all’Europa ha rappresentato un duro colpo anche per gli store dei big del lusso. Capri Holdings, che possiede Michael Kors, Versace e Jimmy Choo, ha già chiuso 150 negozi in Cina e, a sua volta, ha previsto una riduzione di 100 milioni dollari di entrate per il prossimo trimestre. Il fermo di molte fabbriche cinesi – alla luce della quantità di abiti e accessori prodotta nel Paese asiatico – rischia di essere particolarmente dannoso per l’industria, la Cina rappresentava circa il 38% delle esportazioni tessili mondiali nel 2019, e ora che la produzione ha subito uno stop i marchi che ne dipendono non riceveranno i loro ordini in tempo o non li riceveranno affatto.
Sarà un anno difficile, il rallentamento di questo momento influenzerà anche il primo semestre del 2021. La stagione primavera 2020 sarà la più colpita dalla crisi, ma vedremo ripercussioni negative anche sulla stagione autunno 2020 e, sfortunatamente, penso che pure la stagione primaverile 2021 ne risentirà.
A quel punto la battaglia contro il virus potrebbe benissimo essere vinta, ma si presume che dal 2020 i negozi saranno pieni di merci invendute, e le vendite per il 2021 continueranno a risentirne.
Analisti di settore azzardano proiezioni ed affermano che la crisi avrà un impatto negativo sul settore fino al giugno 2021»: intanto l’ammontare dei danni, purtroppo, aumenta di giorno in giorno.
L’epidemia di Coronavirus peserà in modo significativo sull’industria italiana della moda, che potrebbe registrare nel primo semestre dell’anno un calo del fatturato dell’1,8%, secondo le stime della Camera Nazionale della Moda (Cnmi).
Il settore della moda e del lusso è tra i settori maggiormente esposto alle ricadute economiche dell’emergenza Covid-19. I Governi e le Organizzazioni economiche mondiali parlano di interventi economici e fiscali le cui misure sono in fase di continuo aggiornamento e per cui il prossimo 23 aprile se ne dovrebbero decidere le sorti definitive a Bruxelles.
L’Italia è in attesa di avere riscontro sulle richieste poste dalla Federazione Moda, attraverso Confcommercio, di includere il settore moda tra quelli maggiormente colpiti dalle disposizioni restrittive elencati. Tra le istanze rivolte al Governo italiano quelle relative a sgravi fiscali, proroghe di scadenze e richieste di indennizzi.
Ecco le principali richieste:
- INIEZIONE IMMEDIATA DI LIQUIDITÀ
- INTRODUZIONE LINEE DI CREDITO PER FINANZIAMENTO SCORTE E PAGAMENTO FORNITORI CON GARANZIA RAFFORZATA AL 90%
- MORATORIA MUTUI E PRESTITI BANCARI OLTRE SETTEMBRE 2020
- SOSPENSIONE SEMESTRALE DI IMPOSTE A TUTTE LE IMPRESE CON RATEIZZAZIONE IN 24 MESI
- MORATORIA UTENZE E TARI PER IL 2020
- ESTENSIONE DEL CREDITO D’IMPOSTA DEL 60% PER LOCAZIONI COMMERCIALI AI CONTRATTI D’AFFITTO DI AZIENDA E PER TUTTO IL 2020
- INCREMENTO INDENNITÀ A LAVORATORI AUTONOMI E PROFESSIONISTI OLTRE GLI ATTUALI 600 EURO
- RICONOSCIMENTO GIURIDICO DELL’IMPATTO DELLA PANDEMIA COME “CAUSA DI FORZA MAGGIORE
- SEMPLIFICAZIONE DELL’ACCESSO E DELL’ATTIVAZIONE DEGLI STRUMENTI DELLA CASSA INTEGRAZIONE IN DEROGA E DEL FONDO DI INTEGRAZIONE SALARIALE
- SOSPENSIONE ISA – INDICATORI SINTETICI DI AFFIDABILITÀ
- RINVIO DELLA LOTTERIA DEGLI SCONTRINI AL 1° GENNAIO 2021
- ACCELERAZIONE DEI TEMPI DI PAGAMENTO DELLE PUBBLICHE AMMINISTRAZIONI E DEI RIMBORSI DEI CREDITI FISCALI
- INDENNIZZI PER DANNI INDIRETTI
- DETRAZIONE IRPEF A SOSTEGNO DELLE VACANZE IN ITALIA
- …E ANCORA: EUROBOND E WEB TAX, INVESTIMENTI PUBBLICI PER RILANCIARE I CONSUMI, SEMPLIFICAZIONE, INNOVAZIONE E FORMAZIONE…
Si tratta di un evento senza precedenti, saranno sufficienti queste misure? Il sistema economico mondiale è in allerta, noi al momento siamo in attesa di soluzioni definitive e risolutive, ma da spettatori siamo coscienti che l’obiettivo fondamentale della politica economica è evitare i fallimenti delle imprese.