Il primo febbraio i legislatori francesi hanno cominciato a discutere discusso un disegno di legge per combattere l’islam radicale nel paese, frutto della politica di Macron contro il separatismo islamico a seguito degli ennesimi attacchi terroristici. Discriminatoria secondo alcuni, non sufficiente secondo altri, molte religioni temono di essere le prime vittime della legge. Le norme in discussione mirano a controllare il funzionamento di associazioni e moschee, compresi i finanziamenti esteri, per chiudere i “punti di ingresso” dell’ideologia islamista.
Macron, ormai in campagna elettorale per il 2022, lo scorso ottobre ha parlato di “separartismo islamico” dopo la decapitazione di un professore e l’assassinio di tre persone a Notre Dame di Nizza. I suoi commenti hanno suscitato accuse di razzismo e discriminazione da parte dei musulmani di tutto il mondo, e le aspre critiche del presidente turco Erdogan.
Nella patria della laïcité, i 3/4 milioni di musulmani costituiscono più del 5% della popolazione e il 10% degli under 25. Macron vuole creare un “islam francese” compatibile coi valori repubblicani, e alcune delle numerose federazioni dei musulmani del paese (quella turca, ad esempio, si rifiuta) hanno già firmato una Carta dei principi per l’Islam di Francia.
Se molti plaudono all’iniziativa, altri, come la leader di destra Marine Le Pen, sottolineano la codardia di una legge che neanche nomina l’islam. Secondo altri ancora, la proposta rischia di danneggiare altre religioni. Essa infatti riguarderebbe le associazioni formate in base a una legge del 1905, che sono per l’80% protestanti, mentre molte moschee sono invece stabilite ai sensi di un’altra legge del 1901. Misure burocratiche draconiane, auditing finanziari a spese proprie, e divieto di home schooling rischiano quindi di fare male ai protestanti senza scalfire il separatismo islamico.