L’art. 3, comma 1, della Costituzione va riscritto dove recita «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali». La nostra è una «Repubblica fondata sull’uguaglianza», che vieta esplicitamente tutte le discriminazioni più odiose che la storia ha conosciuto.
La Germania ha deciso di varare una legge per abolire la parola «razza» dall’articolo 3 della Legge Fondamentale (Grundgesetz) ove si sostiene che nessun cittadino può essere discriminato «a causa della sua razza». La storica decisione, assunta dalla cancelliera Angela Merkel, impone anche all’Italia di tornare a confrontarsi con tale questione. Perché mantenere dei riferimenti alla parola «razza» nei testi costituzionali, quando tale parola è controversa?
Si tratta di un interrogativo che affonda le sue radici ai tempi della Costituente quando l’Unione delle Comunità israelitiche italiane aveva avanzato la richiesta di sostituire (nell’art. 3) la parola “stirpe” a quella di “razza”, lasciando quest’ultima ai cani e ai cavalli. La scienza, infatti, a questo riguardo, si è già espressa in modo chiaro ed univoco. È impossibile, sotto il profilo biologico, identificare un individuo sulla base di qualsivoglia marcatore genetico e dunque categorizzare l’umanità in «razze». Per la scienza, quindi, oggi è semplicemente scorretto parlare di «razze umane». Da qui la proposta di eliminare la parola «razza» da qualunque documento della Repubblica, a partire dall’articolo 3 della Costituzione.
È chiaro che la discriminazione di piccoli o grandi gruppi di individui ha preceduto storicamente l’invenzione scientifica della razza e persiste ancora ai nostri giorni. Inoltre, è chiaro che abolire la parola «razza» significa anche abolire la parola razzismo. Un lungo percorso educativo non può però che iniziare basandosi sul fare chiarezza sul significato delle parole utilizzate. È quindi arrivato il momento di riconoscere che il termine «razza» non ha più alcun significato biologico, se in riferimento a eventi storici, e ha quindi perso ogni diritto di cittadinanza anche nei testi posti a fondamento della nostra convivenza civile e politica.
Non va dimenticato che il linguaggio crea senso, la lingua genera significati, e che continuare a utilizzare questo termine può essere dannoso poiché può incoraggiare atteggiamenti culturali discriminatori, come più volte è già accaduto anche all’interno del discorso politico. In Francia la parola razza è stata eliminata nel 2018, la Germania sta seguendo l’esempio, l’Italia ha il dovere di farlo. Negli ultimi anni diversi tentativi e proposte (Rickards-Biondi, Scotto, Destro Bisol, Anzaldi e altri ancora) hanno già aperto la discussione, raccogliendo autorevoli sostegni (come quello della senatrice a vita Liliana Segre).
Paradossalmente, è proprio nei momenti di crisi, come in quello attuale dovuto alla Covid-19, che si può trovare il coraggio per immaginare un paese nuovo dove la parola «razza umana» sia finalmente cancellata da qualunque atto ufficiale della Repubblica Italiana.