Per anni migliaia di donne affette da tumore hanno dovuto rinunciare alla loro fertilità, ridotta o spazzata via da terapie aggressive ed operazioni invasive, ma oggi diventare mamma dopo un tumore non è più un utopia, oggi grazie al progresso scientifico e alle nuove tecniche di PMA è possibile preservare la ferrtilità scopriamo insieme come.
Nei tumori al seno positivi ai recettori ormonali dopo l’operazione è infatti prevista una terapia precauzionale anti-ormonale che può durare fino a 10 anni, durante la quale la fertilità viene ‘messa in pausa’. E quando se ne ‘esce’, potrebbe essere ormai troppo tardi per avere un figlio. Ma se fosse possibile interrompere per un periodo la terapia anti-ormonale, senza per questo aumentare il rischio di una recidiva della malattia, per molte pazienti la storia potrebbe andare diversamente. È proprio per questo che è nato lo studio Positive: per stabilire in modo definitivo se sia sicuro o meno sospendere il trattamento per due anni, durante i quali le donne possono tentare di avere una gravidanza. L’obiettivo dello studio, condotto in 20 paesi in più di 150 centri di riferimento e coordinato dall’International Breast Cancer Study Group, è di dimostrare una volta per tutte quello che già altri dati presenti in letteratura suggeriscono: che una gravidanza dopo un tumore al seno non aumenta il rischio di recidiva, anche nelle donne i cui tumori vengono ‘nutriti’ dagli ormoni femminili.
Purtroppo, la terapia oncologica può compromettere la fertilità della donna e non sempre è possibile avere una gravidanza dopo il tumore al seno. Si tratta di un effetto collaterale dei farmaci, che possono anche indurre una menopausa precoce, non sempre transitoria. Oggi, però, ci sono tecniche che possono preservare la fertilità. Grazie ai progressi nel campo della procreazione medicalmente assistita (Pma), è possibile crioconservare i propri ovociti o campioni del proprio tessuto ovarico, che viene poi reimpiantato una volta accertata la guarigione dal tumore. La prima è una tecnica ben consolidata, la seconda è, invece, piuttosto recente. Entrambe non assicurano che, in caso di perdita della fertilità, questa possa essere recuperata, ma al momento rappresentano comunque delle possibilità in più di avere figli una volta guarite. Esistono inoltre farmaci che possono proteggere le ovaie. Si può infatti indurre la soppressione dell’attività delle ovaie durante la chemioterapia, riducendone l’effetto tossico. Se hai scoperto di avere un tumore al seno, sei ancora in età fertile e pensi di volere dei bambini, è importante che affronti questo argomento con il medico oncologo, il tuo medico personale e, possibilmente, con uno specialista della fertilità.
Nel nostro paese In Italia sono moltissime le donne che hanno scelto di conservare la propria fertilità per avere una gravidanza una volta guarite dalla malattia, le due principali opzioni utilizzate per preservare la fertilità sono appunto la crioconservazione di ovociti o di tessuto ovarico prelevato in laparoscopia. La scelta si opera tenendo conto di vari elementi: il tempo a disposizione prima di cominciare la terapia, qualche volta l’oncologo ha fretta di cominciare e non può aspettare i tempi della stimolazione ovarica; l’età della paziente, quando si tratta di bambine si congela tessuto ovarico visto che non si possono sottoporre a stimolazione. Quest’ultima opzione garantisce alle pazienti, una volta guarite e dopo il reimpianto del loro pezzetto di tessuto ovarico, di poter ristabilire una normale funzione ormonale, quindi di avere le mestruazioni e una gravidanza per via naturale. Per entrambe le tecniche l’età della donna è un ostacolo, poiché nella donna all’aumentare dell’età corrisponde un riduzione della fertilità.
Ma esattamente in cosa consistono le tecniche di conservazione della fertilità?
Per quanto riguarda la crioconservazione degli ovociti, la tecnica consiste nel prelievo e nel congelamento degli ovociti. E’ indicata in pazienti che hanno la possibilità di rinviare il trattamento chemioterapico di 2 settimane e che hanno una riserva ovarica adeguata per il recupero di un numero sufficiente di ovociti.
La durata può arrivare a 15 giorni, durante tale periodo la paziente deve sottoporsi a ecografie trans-vaginali e dosaggi seriati di 17-beta estradiolo per stabilire il momento opportuno per indurre l’ovulazione e programmare il prelievo eco-guidato degli ovociti. Nei protocolli standard, l’induzione della crescita follicolare multipla comincia nei primi giorni della fase follicolare ed è quindi necessario attendere la comparsa del ciclo mestruale, cosa che in alcuni casi può ulteriormente ritardare l’inizio della chemioterapia. Per le pazienti oncologiche, sono stati quindi proposti dei protocolli che prevedono l’inizio della stimolazione in qualsiasi giorno del ciclo mestruale in cui si trovi la paziente al momento della decisione di intraprendere una preservazione della fertilità con congelamento ovocitario. Per donne con tumori ormonoresponsivi, come le pazienti affette da carcinoma della mammella e dell’endometrio, sono stati sviluppati approcci alternativi di stimolazione ormonale che utilizzano tamoxifene/letrozolo, così da ridurre il rischio potenziale di esposizione ad elevate concentrazioni di estrogeni.
Mentre per quanto riguarda la crioconservazione del tessuto ovarico, si tratta di una tecnica ancora sperimentale che ha il vantaggio di non richiedere una stimolazione ormonale e offre prospettive per preservare sia la funzione riproduttiva sia quella ormonale. Può essere effettuata in qualsiasi momento del ciclo mestruale e permette quindi di evitare il ritardo nell’inizio del trattamento chemioterapico.
La corticale dell’ovaio contenente gli ovociti viene conservata in azoto liquido per poi poter essere reimpiantata nella donna dopo la fine dei trattamenti oncologici permettendole una ripresa sia della funzione ormonale che riproduttiva. Il tessuto ovarico destinato alla crioconservazione viene prelevato nel corso di un intervento di laparoscopia, trasportato in mezzi di coltura in laboratorio e quindi tagliato in strisce di pochi millimetri di dimensioni, criopreservate e conservate in contenitori di azoto liquido a -196°C fino allo scongelamento e successivo reimpianto nella paziente alla completa remissione della malattia neoplastica.
Questa tecnica consiste nello spostare chirurgicamente le ovaie lontano dal campo di irradiazione, durante il trattamento chirurgico della neoplasia. Le ovaie vengono in genere fissate nelle fosse paracoliche con sutura non riassorbibile e clip metalliche per consentire la loro identificazione da parte del radioterapista.
Ma è importante ricordare che la gravidanza non è l’unico modo per coronare il proprio desiderio di maternità. Di fatto, è possibile diventare mamma anche scegliendo l’adozione o l’affidamento e cambiando con questo gesto d’amore la vita di un bambino.