I cattolici non porteranno a casa il tradizionale ramoscello d’ulivo questa Domenica delle Palme, e seguiranno dai loro divani i riti della Settimana Santa in Italia. Ad oggi sono più di 85 mila i casi attivi (vale a dire, che non si sono risolti né in una morte né in una guarigione) nel nostro paese, e seppure i numeri sembrano lentamente decrescere, il giorno in cui potremo allentare le restrizioni di movimento imposte a tutta la popolazione è ancora lontano. Queste includono le riunioni di natura religiosa e le messe con concorso di popolo.
Questa epidemia ci ha lasciato immagini che rimarranno impresse nella memoria di tutti. Le strade vuote, le mascherine sulla bocca di ognuno, la carovana di veicoli militari adibiti al trasporto delle troppe vittime di questo virus. Ma forse l’immagine che più ha colpito i tanti fedeli cattolici, se non il mondo intero, è stata quella che ci ha regalato uno stanco Papa Francesco durante un momento straordinario di preghiera e nel pronunciare la benedizione Urbi et Orbi, a Roma e a tutto il mondo, sotto una scrosciante pioggia serale nella vuota piazza San Pietro.
L’ultimo decreto in materia di coronavirus, firmato il primo aprile dal capo del governo Giuseppe Conte, ribadisce tutte le misure già adottate e il divieto di assembramenti e di ogni attività definita “non essenziale”. Non essenziali, evidentemente, sono ritenute tutte le attività religiose svolte in gruppo, incluse le messe e inclusi i funerali. Infatti, le restrizioni imposte dal decreto sono valide fino al 13 aprile, proprio il giorno di Pasquetta. La stragrande maggioranza dei fedeli cattolici, e per la verità anche coloro appartenenti ad altre comunità religiose, non hanno protestato più di tanto contro i divieti, e, fatte salve poche eccezioni, tutti hanno seguito con diligenza le regole in materia religiosa. Chissà, probabilmente la paura del contagio ha avuto la meglio, o forse questo non è che un sintomo della minore rilevanza della religione nella vita degli italiani rispetto a qualche generazione fa. Gli esponenti della gerarchia ecclesiastica italiana si sono piegati facilmente agli ordini delle autorità secolari, senza opporre particolari resistenze, forse consci della gravità della situazione. Diverso, per esempio, l’atteggiamento dei vescovi polacchi, che invece di vietare la partecipazione del popolo alle messe, ne ha moltiplicato il numero, così da permettere a gruppi meno numerosi di fedeli di assistere contemporaneamente a una cerimonia.
Qui da noi si sono verificati alcuni sporadici casi di “preti ribelli”, che in barba agli ordini dall’alto, non hanno voluto negare ai fedeli ciò che essi ritengono un diritto, convinti che più della salute del corpo conta quella dell’anima, spingendo le forze dell’ordine locali a intervenire. Altri sacerdoti al contrario si sono ingegnati perché ai propri parrocchiani non venisse meno il conforto spirituale pur badando a non infrangere le regole della quarantena. Si sono levate inoltre le voci di alcuni intellettuali che hanno accusato i vescovi di codardia. Vittorio Messori, il pensatore cattolico autore del celebre Ipotesi su Gesù, ha fatto notare come storicamente il clero fosse sempre presente in prima linea nell’assistere i fedeli fisicamente e spiritualmente durante le epidemie, spesso a seguito di vere e proprie “chiamate alle armi” da Roma. Stavolta, osserva Messori, sembra che la Chiesa si sia ritirata nelle retrovie senza troppo recalcitrare.
Il dilemma religione-quarantena ovviamente non riguarda solo il cattolicesimo, né è circoscritto alla sola Italia. I membri di diverse religioni, a torto o a ragione, sono stati accusati di fare da untori nei rispettivi paesi, e questa accusa è stata spesso amplificata dai media. E’ stato così, ad esempio, per una congregazione di musulmani che alcune settimane fa si è riunita per l’inaugurazione di una moschea in Malesia. La stessa cosa è successa in Francia, dove la colpa è stata data a un gruppo di pentecostali appartenenti alla Christian Open Doors. Ma il caso più famoso rimane quello della chiesa sudcoreana Shincheonji, un nuovo movimento religioso di matrice cristiana che non gode di ottima reputazione tra le chiese “tradizionali”, alle quali sottrae fedeli. Alcuni membri della chiesa Shincheonji sarebbero stati responsabili, secondo una narrativa promossa da tanti media ma contestata da altri, della diffusione del Covid19 nella Repubblica di Corea.
In Israele, dove gli ebrei si apprestano a celebrare una Pesach certamente inusuale, il paese, tra una negoziazione e l’altra fra Netanyahu e il rivale Gantz nel tentativo di formare un governo, ha imposto regole ferree per impedire il contagio di massa. Regole prontamente disattese però dagli haredim, le frange di ebrei ultraortodossi dal rapporto notoriamente complicato con lo stato, che negli ultimi giorni si sono riversati più volte in strada a migliaia per celebrare i funerali di alcuni dei loro rebbe. Questo ha contribuito a diffondere enormemente il virus, e ha spinto il governo israeliano a chiudere completamente il perimetro dell’intera cittadina di Bnei Brak, una roccaforte ultraortodossa vicino Tel Aviv.
E che dire dell’Hajj, il pellegrinaggio alla Mecca al quale accorrono ogni anno fedeli da ogni parte e che secondo il calendario lunare islamico si terrà questa estate ad agosto? Se l’Hajj potrà effettivamente svolgersi è ancora del tutto incerto. Per adesso la corona saudita ha consigliato a chi si stava preparando a partire di cambiare programma. Quel che è sicuro è che, se mai si svolgerà, le dimensioni dell’evento saranno notevolmente ridotte.
Nel frattempo, la vertiginosa diffusione del nuovo coronavirus propone interessanti interrogativi negli Stati Uniti, il paese dove il tema della libertà religiosa è particolarmente sentito per ragioni storiche e culturali. Possono il governo federale e i governatori dei singoli stati imporre restrizioni al libero esercizio della fede religiosa? Finora la risposta sembrerebbe, almeno nei fatti, essere proprio di sì. La maggior parte delle comunità religiose ha annullato ogni tipo di raduno. Sicuramente la tecnologia ha aiutato i pastori a continuare ad assistire i propri greggi. Alcune chiese hanno avuto la simpatica trovata di organizzare riunioni religiose nei cineparchi (i cinema drive-in dal sapore nostalgicamente retró), così da permettere ai membri della congregazione di riunirsi mantenendo dalla comodità della propria auto il social distancing prescritto dalla legge. Altre hanno direttamente fatto ricorso agli strumenti tecnologici. E’ stato il caso della Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni, i mormoni per intenderci, che questo finesettimana avrebbe dovuto riunire 21 mila dei suoi membri nel suo colossale centro conferenze a Salt Lake City, Utah. La chiesa, che ha annullato in tutto il mondo ogni riunione religiosa e chiuso tutti i suoi templi, ha infatti deciso di tenere in maniera virtuale la propria conferenza generale, le cui sessioni sono in queste ore trasmesse esclusivamente online.
Il tema della restrizione della libertà di culto è comunque al centro di un intenso dibattito in America, e non tutti sono disposti a rinunciare all’esercizio di questo diritto senza opporre la minima resistenza. Per alcuni gruppi di cristiani evangelicali, vivere la propria fede è un diritto inalienabile, e sono disposti a lottare pur di difenderlo. Tra i tanti esempi citabili, ha fatto notizia quello del pastore Rodney Howard-Browne della megachurch The River at Tampa Bay, in Florida, che è stato arrestato per essersi rifiutato di annullare le riunioni religiose nella propria chiesa a seguito di un ordine esecutivo del governatore della Florida.
Mentre Pasqua si avvicina, un tentativo di capire come meglio conciliare la libertà religiosa alle esigenze di sicurezza nazionale dovrà essere fatto anche in Italia se
resteremo in quarantena per ancora qualche settimana. Se l’erogazione dei servizi essenziali è garantita dal decreto Conte, come mai le sigarette sono considerate un bene essenziale e le messe no? Vale più la salute del corpo o la salute dell’anima? Sono le comunità religiose a doversi adeguare a un ordine nuovo di cose o è il governo di un paese libero e democratico a dover fare un passo indietro?
In ogni caso, il coronavirus non ci impedirà di gustare anche quest’anno agnello, colomba, e uova di cioccolata.